p. Benito – la sua vita da missionario

 

 

2011  Padre Benito racconta la sua vita da missionario –

Sono stato destinato al Sudan fin da subito, dall’ordinazione sacerdotale (1962). In Sudan giunsi, come detto sopra, nel settembre dell’anno seguente. Provenivo dal Libano, dove fui per un anno impegnato nello studio della lingua araba. Lo studio dell’arabo ovviamente continuò per altri anni, in Sudan, data la sua intrinseca difficolta’, e dovuto anche alla scelta, fatta dalla chiesa, della lingua araba come veicolo per cui presentare il messaggio evangelico. Nella babele di lingue e dialetti parlati in Sudan, fu giusta la scelta della chiesa di adottare la lingua araba nel nostro servizio pastorale (liturgia, catechesi…).
Dal 1963 al 2001 il Sudan fu la mia casa e il mio campo di lavoro  Fatta eccezione per una interruzione di tre anni (1992-95), quando fui chiamato in Italia per un servizio di animazione missionaria. I miei anni spesi in Sudan furono dedicati ad attività diverse: responsabile dell’incipiente seminario minore, inizio del centro pastorale e catechetico diocesano, alcuni anni in differenti parrocchie come parroco, e attivo nella scuola. Un servizio variegato, dunque, nel quale ho raccolto belle soddisfazioni, ma anche qualche amarezza e qualche delusione. Niente di nuovo per chi vive e opera nella terra che fu del Comboni, il quale passo’ per esperienze ben piu’ negative delle mie.
Di rilievo è stato per me il tempo passato nella scuola (le scuole della chiesa conosciute come Scuole Comboni). Nelle nostre scuole, la maggior parte degli studenti è di religione musulmana, come anche maggioranza sono gli insegnanti musulmani. Ebbene, la’ ho fatto una bella esperienza di dialogo interreligioso. Niente confronti teologici o accademici, ma piuttosto il dialogo della vita, che mi è parsa l’arma vincente in una societa’, quella musulmana, piena di preconcetti e anche di ostilità nei confronti dell’ “altro”, del diverso.
Il Sud Sudan dal 9 luglio scorso è uno stato indipendente con oltre otto milioni di abitanti. Il paese è estremamente povero. Povero di strutture degne di uno stato moderno, quali scuole, ospedali, strade (in tutto il paese ci sono circa 100 km di strade asfaltate), lavoro, ecc. Tutto, o quasi, è da costruire. Il problema della fame è quasi endemico. Infatti c’è la fame quando non si semina e si raccoglie. Ma la semina è legata alle piogge. E le piogge non sono costanti.
Nel sud come nel nord sono presenti i Comboniani e le Comboniane. I quali, a differenza di come operavano nello stesso paese cinquanta anni fa e prima ancora, non sono più i detentori delle leve di comando nella chiesa locale. Oggi in Sudan ci sono vescovi (e anche un cardinale a Khartoum), un bel numero di preti (oltre 150) e religiosi autoctoni. Noi Comboniani ci affianchiamo ad essi, con molta discrezione e umiltà, e insieme operiamo – non più come unici protagonisti – per la crescita della chiesa del Sudan.
Per quanto riguarda la chiesa in Africa, noi vediamo con un certo sgomento l’avanzata dell’Islam, in quasi tutte le nazioni. A dispetto di questo quadro abbastanza cupo, io sono molto ottimista perché noto (almeno per quanto riguarda il Sudan che solo da cinque mesi ho lasciato) come l’educazione della nuova generazione di africani sta rapidamente ampliandosi e migliorando; e sono certo che uscirà da essa una classe di leaders intelligenti e capaci.
Padre Benito

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